Quel tappeto dava davvero un tono all'ambiente

Noi, se si muore solo un po' chi se ne fotte, ma sia molto tardi che si va a dormire…

You must be somewhere in London

Non tutto ancora è perduto.
Le nubi corrono grigie sui marypoppinsiani (?!?) camini di Londra, e tante convinzioni, tanti sogni vanno via via sfumando in colori quasi indefinibili.
Ma here we are, con una nuova, agrodolce consapevolezza: non esiste solida metropoli in cui poter fuggire senza alla fine scontrarsi violentemente con se stessi.
La banalità talvolta è una solida ancora cui appigliarsi!

Non tutto è perduto , dicevo, perchè da perdere a volte c’è poco o niente.
Certo invece c’è da guadagnare.

Non ha senso tirare bilancio alcuno, è troppo presto.
E’ sempre troppo presto, quando non diventa tardi d’improvviso.

Sto conoscendo il dark side of the force, quel lato oscuro che solo chi si mette nelle apposite, calcolate condizioni può davvero conoscere. Ed è davvero una palestra di vita, come mi piace ripetere a tutti, in primis a me stessa.
Perchè solo una parola del genere può davvero descrivere gli sforzi, la sofferenza, le personalissime soddisfazioni che l’ennesimo cambio di vita può regalare.
O infliggere, dipende dai punti di vista.

London…la volevo e qui sono.
Quindi iniziamo questo ennesimo nuovo capitolo, che invero è cominciato ormai quasi 5 mesi fa (mi fa paura ammetterlo, figurarsi a scriverlo nero su bianco).
Ma cominciamolo con le migliori intenzioni, che sono sempre le migliori…altrimenti poco potrebbero definirsi tali.

Hey, ho. Let’s go.

Friday I’m in love

Credo che assocerò sempre questa canzone a un positive mood.
Quello del fine settimana: le ultime corse per consegnare ai clienti l’irrimediabile layout del venerdì sera, il buio che irrompe dal finestrone dell’ufficio bunkeristico, l’infastidente luce al neon, quell’aria cazzeggiosa in cui respiri i progetti delle altrui serate, la proposta di una birra caduta nel vuoto.

Basta quel primo scivolone schitarrato e…bum!
Poi dicono che le canzoni non salvano il mondo.

Ma si deve imparare a guardare avanti, spegnere la pancia e accendere il cervello.
Che immagine poco poetica.

Anyway è venerdì, siamo innamorati.
Della vita di tutti i giorni, degli amici dati per scontati, dei colleghi fastidiosi, della città che ci saluta ogni giorno dalle finestre sporche, del locale che a breve accoglierà le nostre peregrinazioni, degli uomini sbagliati, magari di quelli giusti.
Birra stappata, let’s start the show.

…e nemmeno un rimpianto.

Ricordo i tempi post lauream.
Orribili e al contempo densi di speranze.
Quelli in cui si viveva solo di notte.Lunghe, pensose, interminabili notti.
Di fronte l’ignoto, dietro alle spalle una discreta lista di decisioni.Nè giuste nè sbagliate, oserei dire normali.
La parola che spaventa tutti coloro che hanno paura di vivere, compresa la sottoscritta.

Redigendo quindi un bilancio eccomi come un novello Hank Moody a vivere la notte con troppo (troppo?) rum nelle vene e la velleità di risolvere il vuoto della vita leggendo caratteri casuali su uno schermo sporco.
Chopin in sottofondo, per dare al quadro quell’aria marcia da bohemienne incompresa.
Dai, aggiungiamoci la sigaretta accesa a metà, simbolo frivolo che non ho amato mai.
Fumo denso, luce soffusa, la cucina appena lustrata, un vago e aspro sentore del caffè che ingollerò domani.

Dopo avere inquadrato il luogo è ora del sottofondo.

Mina, per la precisione.
Maestro, prego.

Io ti chiedo ancora, il tuo corpo ancora, le tue braccia ancora, di abbracciarmi ancora..di amarmi ancora, di pigliarmi ancora, farmi morire ancora, perchè ti amo ancora….

Ottimo.
La scena è definita, la cornice vivida.
Ora è il momento di fare due conti con i propri pensieri.
Con le voglie alternate di andare e restare. Di andare e restare.
Andare..dove?
Restare…qui?

Mi sono sentita definire in molti modi.
Intelligente, pavida, insicura, patologicamente insicura, mediocre, eccezionale, tu-sapresti-cavartela-ovunque, egocentrica, viziata, pessimista, coraggiosa, lamentosa, ingrata, superba.
Di fatto non so nemmeno io quale maschera assumere questa volta.
A 27 anni non credevo mi sarei più ritrovata a navigare nel limbo notturno dei vagheggi mentali.
La piccola rivoluzionaria unconventional sognava un finale sicuro e scontato (come ogni sessantottino DOC)…la famosa casa di periferia in via Gluck, l’uomo perfetto nella sua imperfezione provinciale, il lavoro rivoluzionario.
Insomma, il palcoscenico dove l’attrice riceve rose e applausi.Qualche fischio, molte lacrime.
Grazie, brava, bis.

Invece eccola a brancolare nel banale buio…il finale scontato.Poteva forse andare diversamente?
E non è coraggio.
Tu solo sai che – bando al coraggio del “lottatore insoddisfatto”- fondamentalmente hai una soglia di sopportazione diversa…nuoti nella stessa merda, fai solo più fatica ad annegarci.
Quindi sei doppiamente uno stronzo.

Good night and good luck.

In un vortice di polvere
gli altri vedevan siccità,
a me ricordava
la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa.

Sentivo la mia terra
vibrare di suoni, era il mio cuore
e allora perché coltivarla ancora,
come pensarla migliore.

Libertà l’ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato.

Libertà l’ho vista svegliarsi
ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze
a un ballo,
per un compagno ubriaco.

E poi se la gente sa,
e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca
per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare.

Finii con i campi alle ortiche
finii con un flauto spezzato
e un ridere rauco
ricordi tanti
e nemmeno un rimpianto.

“ma può essere…

…che io abbia letto la parola “invero” nel tuo power point di presentazione al cliente??” – Andrea

Come farà a non mancarmi Momentum?

l’anno vecchio è finito oramai, ma qualcosa ancora qui non va.

Che poi a ben pensarci il numero 2011 ha indubitabilmente un suono cacofonico.
Forse per questo mi fa tenerezza.
Ho sempre nutrito buon samaritanesimo (-ismo?bah), se così si può dire, per i disadattati sociali.
Quando si nasce con un bug d’altronde credo lo si porti dietro per sempre, a meno di non immaginare un fantasmagorico IT che lo risolva in via definitiva.
Ma, si sa, non esiste IT che funzioni al mondo.
E non credo che “prova a spegnere e riaccendere” sia una pratica molto adattabile all’everyday life.

Un gennaio afasico, questo.
Già.
Forse perchè ogni volta che si presenta un bivio o un’inversione di rotta ho paura ad imprimerlo nero su bianco. Come se evitando di leggerlo non si verificasse.L’infallibile tattica dello struzzo.

E invece ci siamo: dopo tre anni di università, tre di lavoro e uno di master il fumo nero mi ha completamente posseduto e si è scatenato come una furia su tutto ciò che lo circondava. Senza sconti.
Non so come si possa raggiungere un punto di rottura: è in un gesto appena percettibile, uno sguardo, una lieve brezza che spira in direzione contraria. E’ nelle canzoni, nei film, nei libri che si ammassano polverosi su una traballante libreria di legno marcio. Nello sguardo di un genitore, forse di uno sconosciuto urtato nella nebbia alcolica del venerdì sera.
Il chiodo all’improvviso cede nel silenzio di una stanza vuota e il fragore di vetri infranti irrompe sordo.
E non riesci a tornare indietro o a rientrare nel frame.
Sei fuori da quella cornice che in fondo ti è sempre stata stretta.
Di fronte a te il buio, quello terribile degli incubi di bambina, il cui fascino ti irretisce.

Lasciare la (tua?) città, gli studi di una vita, le certezze senza le quali fai fatica ad alzarti la mattina per saltare nel vuoto.

…che se non ha senso domani arriverà lo stesso.

“Mi vedi ingrassata?”

“…ma guarda che stai bene così eh, stai meglio di un anno fa…”.

La prossima persona che mi risponde così verrà fagocitata in dieci morsi, dieci.
E se non mi lecco le dita godo solo a metà.

Oh oh oh!

Il Natale è freddo e traffico e gente che cammina a due all’ora, meglio se con carrozzina.
Il Natale sono le piste da sci che non calco da 10 anni, ma tutti ne parlano.
Il Natale è che i clienti devono fare le cose natalizie e noi comportarci nataliziamente con i clienti.
Il Natale è la vigilia che passo con padre e madre e il giorno di Natale che passo con padre e madre.
Il Natale sono le lucette-reti da pesca color blu elettrico e violetto di porta Venezia che sembrano gettate da un elicottero della protezione civile brandizzato Dolce e Gabbana.
Il Natale è la cena aziendale con litri di vino scadente, che il giorno dopo sei comunque in ufficio alle nove.
Il Natale sono le offerte Vodafone per studenti della Normale di Pisa un po’ autistici.
Il Natale è la neve copiosa sulla rete ferrotramviaria proprio il giorno prima del rientro.

I wish you a Merry XMas.
E tante buone Sante Lucie a tutti.

Babbbaffanculo, va.

che volevano cambiare il mon-do

tre donne a cena, il vino bianco di rito, le riflessioni lavorative, il passato che ritorna, il limoncello spezza-gambe.
E chissà perchè finisci sempre e comunque a parlare in maniera becera e bovina di sesso e aneddoti imbarazzanti. Non certo per te, sia chiaro.

Se a questo quadretto aggiungi il coinquilino nella stanza accanto che sicuramente ascolta in religioso silenzio (e sai anche troppo bene perchè) la serata è presto realizzata.

E anche il mostro del lunedì è presto smitizzato e sconfitto.
Con grazia e meravigliosa volgarità.

Ma facciamo la rivoluzione??

Così mi apostrofa stamattina un collega d’agenzia.
Gli rispondo: siamo vecchi. Devono farla i ventenni, la rivoluzione.
“Dai, loro vanno al macello, noi comandiamo”, aggiunge scherzando. O forse no.

Quarto d’ora canonico di lettura quotidiani on line e mi accorgo che gli studenti stanno scendendo in piazza, almeno ci stanno provando. Due moti si agitano in me: quello disperante e scettico che vede in questi episodi la buona scusa per saltare l’interrogazione su Dante (quanto autobiografismo) e poi il moto malinconico, che si ricorda della propria infanzia, dei sogni di cambiamento, della voglia di sovvertire tutto e costruire un mondo nuovo.

E mentre il primo è perfettamente inserito nel cinico contesto dell’ex liceale classica, ex sognatrice pseudosessantottina, ex pseudocomunista, ex cinefila (la lista degli “ex” potrebbe durare all’infinito) seduta ora alla scrivania di una delle più grandi “multinazionali della fuffa”, il secondo è molto più pericoloso.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo oggi possiamo dirti:/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo/


E’ la voce della verità, quella “coscienza” che grida prepotente “potevi, potevi, potevi!!E non hai mosso un’unghia”.
Guardare i ragazzini in piazza mi fa male dentro. Vorrei essere lì con loro, stringere uno striscione, urlare frasi violentissime e giustissime, con la meravigliosa ingenuità di quell’età.
Ma vorrei anche spedirli tutti a casa, mandarli a studiare, interrogarli facendo crollare in due secondo le loro inconsapevoli motivazioni belligeranti.
Vorrei ucciderli.
Perchè io, noi, ci siamo suicidati e da allora non è cambiato nulla.

Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte: per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti!

La paura di guardare MI ha fatto chinare il mento.
Bene. Ammettere il problema è metà della soluzione, così pare.
Ma la gravità si fa ancora più pesante e minacciosa quando considero non solo di non aver davvero fatto niente per cambiare il mondo in cui vivevo (anzi, plasmandomi di conseguenza. Cosa molto umana e comprensibile. Sociologicamente “normale”) ma nemmeno me stessa. Nè allora nè ora.

La mia rivoluzione non è arrivata, non arriva.
Quella egoista, egocentrata, egocostruttiva.
E sono davvero stanca di non guidare.
Il posto del passeggero mi nausea, non basta più alcuna medicina auto o eteroimposta a placare questo insopportabile giramento di testa, questo verme solitario aggrappato ad ogni villo.
E’ giunto il momento di prendere in mano le redini, in tutti gli aspetti della mia vita, anche quelli relazionali.
Quanto meno imbarazzante che continui again and again a permettere a “persone” di prendere pieno possesso dei miei pensieri, delle mie azioni.
E’ quella incomprensibile fiducia nell’essere umano che mi frega.
Anche questa volta.

It has to start somewhere It has to start sometime
What better place than here, what better time than now?